Il curioso caso di Donald Sterling

Il razzismo è un problema secolare, che si ripropone quotidianamente ad ogni livello della società, in ogni parte del mondo, con una frequenza tale da non lasciarci nemmeno rendere conto. In televisione, per strada, negli sguardi e nei piccoli gesti della gente. Il razzismo è uno di quei cancri sociali che oramai sanno di marcio, talmente radicato da essere quasi ritenuto alla stregua della normalità.

C’è qualcosa che però è persino più indegno e ignobile di un qualunque ideale razzista: è la strumentalizzazione del razzismo, lo sfruttamento per fini economici, politici o checché se ne voglia dello sdegno sociale verso il pensiero discriminatorio.
In un mondo governato dall’ipocrisia dilagante e dal perbenismo farisaico che ci contraddistingue, è dunque lecito porsi alcuni interrogativi attorno a determinate vicende che hanno caratterizzato la storia, nel nostro caso sportiva, degli ultimi mesi.

Da una parte, l’episodio della banana lanciata a Dani Alves dal pubblico del Villareal (a sua insaputa?) e del susseguente fenomeno cibernetico-sociale del #SomosTodosMacacos. Dall’altra, ed è quello che in questa sede ci riguarda più da vicino, l’incresciosa vicenda che ha visto protagonista il proprietario della franchigia NBA dei Los Angeles Clippers, Donald Sterling.

La storia ormai è nota: il 25 aprile il sito di gossip americano Tmz ha pubblicato la ricostruzione audio di una telefonata in cui l’ottuagenario miliardario chiedeva alla sua fidanzata (V. Stiviano, di origini messicane) di non farsi vedere in giro con uomini afroamericani e, soprattutto, di non portarli con lei alle “sue” partite. Sembra che l’uomo d’affari facesse riferimento in particolare a Magic Johnson, ex stella dei Lakers, l’altra squadra della Città degli Angeli, che secondo alcune voci insistenti sarebbe interessato all’acquisto dei Clippers nel caso in cui si confermasse la radiazione di Sterling dalla NBA.

In più di trent’anni di proprietà, l’uomo ha più volte dimostrato con i fatti più che con le parole di essere un razzista.  Nel 2006 il dipartimento di giustizia gli ha fatto causa, accusandolo di discriminazione razziale nella concessione di appartamenti per i senzatetto in alcuni quartieri di Los Angeles.  Quattro anni prima, nel 2002, se l’era presa con i neri e gli ispanici che occupavano gli stessi appartamenti, che aveva da poco acquistato. Nel 2009, infine, era stato denunciato per comportamento razzista da parte di un dirigente dei Clippers.

Al tempo negli Stati Uniti se n’è parlato, ma con dei toni e un’intensità neanche paragonabili all’indignazione unanime di questi giorni. Perché? Cosa ha portato Sterling dall’essere un pluripremiato dall’NAACP (Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore) al trasformarsi nel nuovo Grande Mago del Ku-Klux-Klan? E’ forse un caso se tutta la polemica sia nata da una foto con Magic Johnson, proprio il sopracitato interessato all’acquisto della franchigia (forse) rilasciata da Sterling?

Non sono domande che è piacevole porsi (soprattutto per chi come il sottoscritto è un patito del sorrisone di Magic), ma che alla luce dei fatti risultano perlomeno legittime.
Mai si saprà se sono intervenuti fattori di altro genere ad alzare il maestoso polverone creatosi nelle ultime settimane. Probabilmente gli interessi di Sterling non coincidevano più con quelli dell’Nba, che ha approfittato di questa storia per allontanare un vecchio razzista e rimpiazzarlo con un volto più giovane e accattivante. Sicuramente rimane la certezza di come il razzismo rappresenti solo uno dei tanti volti di questa agghiacciante vicenda.

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